Mana in Naples Villa Di Donato, Napoli

 

 

di Mario Francesco Simeone

 

 

pubblicato sabato 13 giugno 2015 su Exibart

Il termine mana, originariamente diffuso nelle antiche lingue austronesiane, può essere usato come aggettivo, sostantivo e verbo, ed è riferito sia a concetti astratti, come il pensiero universale e permanente della natura, che ad attività pratiche, relative a situazioni quotidiane, dal curare una malattia al pescare. Singolare come questo vocabolo sia stato ripreso da tutta la letteratura occidentale di genere fantastico, a indicare la capacità, tipica di maghi o stregoni, di incanalare le forze del mondo esterno nel proprio corpo, per evocare incantesimi e magie.
Nella collettiva a Villa Di Donato – a cura di Cynthia Penna, direttore artistico dell’associazione culturale Art1307, e Andi Campognone, curator al Museum of Art and History di Lancaster, California – sono esposte opere realizzate da un collettivo di artisti-surfisti californiani che hanno interpretato il rapporto con la natura come momento di intervento sulla materia della rappresentazione. Per Craig Barker, Casper Brindle, Ben Brough, Alex Couwenberg, Ned Evans, Steve Fuchs, Eric Johnson, David Lloyd, Ken Pagliaro, Alex Weinstein, la tavola da surf è protesi del transito, estensione dei sensi nel movimento fluido della natura. Il ritmo delle maree è osservato, praticato, percorso, quindi, proiettato in forme sature di gradazioni coloristiche – come nelle rigorose campiture astratte di Brindle ed Evans, un color field declinato nella magnetica esattezza della realtà virtuale – oppure nelle linee di luce aggettanti dalle forme sinuose, nelle sculture in resina di Johnson o, ancora, nella dinamicità leggera degli aloni delle onde marine, nelle fotografie di Pagliaro.
«Nella mostra sono esposte tutte le tendenze dell’arte contemporanea californiana», ha detto Penna, che ha spiegato come questo gruppo abbia impostato la base della ricerca sulle potenzialità della condivisione esperienziale, un’ipotesi di comunità, tipica di un certo ambito della cultura californiana, che è stata anche oggetto di un documentario di Eric Minh Swenson.
Gli spazi espositivi della Villa si saturano di un’aura evocativa ma questa lucentezza è calcolata al minimo dettaglio, non lasciando spazio all’errore, all’imprevedibile. Gli accostamenti cromatici, la sovrapposizione delle linee prospettiche delle inquadrature, la levigatura dei materiali, l’eredità dei movimenti artistici, sono espressi e ibridati come elementi di un meccanismo di precisione, per scandire un’energia travolgente in schemi non fraintendibili.