Meyer: segni di luce in dialogo con l’idea di natura

 

 

di TIZIANA TRICARICO

 

 

Flussi di energie che interagiscono tra loro. Una natura raccontata attraverso materiali che tutto sono fuorché «naturali» (come segmenti di pneumatici che richiamano felci piuttosto che foglie di palma). Cercando di instaurare un dialogo armonioso tra la prima ed i secondi. S’intitola «Segni di Luce» la personale di Claudia Meyer, a cura di Cynthia Penna per Art1307, ospitata a Villa di Donato (piazza San Eframo Vecchio). La mostra – la prima in Italia dell’artista elvetica che vive e lavora tra Zurigo, Parigi e Los Angeles – propone fino al 3 gennaio un corpus di una ventina di opere tutte di più o meno recente realizzazione.
Padre architetto e zio ingegnare, una formazione da designer (che torna prepotente nella scelta di firmarsi con un logo), l’artista nata a Losanna è stata da sempre affascinata dalla materia tecnologica: nel suo percorso di ricerca il segno grafico appreso dalla tradizione europea si fonde con l’indagine di materiali come i metacrilati, il cui utilizzo la connette alla matrice americana dell’arte. Legata alla materia artistica è anche la scelta del luogo delle sue creazioni, un’ex fabbrica dismessa nel sobborgo industriale di La Courneuve, a Parigi, riempita con i macchinari idonei a lavorare acciaio, alluminio, resine, plexiglass, pneumatici, legno. Anche se il suo primo strumento restano sempre e comunque le mani. Due gli elementi che caratterizzano il lavoro della Meyer: uno tecnico, che riguarda l’utilizzo del segno grafico e della scrittura (tutto il suo dinamismo segnico è una forma di comunicazione, anche nel caso di incisione su plexiglass); l’altro emozionale, l’ispirazione derivante da luce e natura. Gran parte dei lavori esposti sono light box, opere luminose, suscettibili di una duplice chiave di lettura: ciascuna di esse ha infatti una sorta di doppia vita, proponendo una «valenza spenta» ed una «valenza illuminata», a seconda dei punti focali che si propongono con maggior forza allo sguardo. La luce diventa così un elemento concettuale di epifania di una scoperta, un’ulteriore possibilità di visione: ed è questo uso della luminosità che avvicina l’artista europea al movimento californiano. Ad accomunare tutta la produzione artistica della Meyer è la complessità del lavoro alla base di ogni singola opera: l’artista dipinge, graffia, arricchisce con collage di carta o cartone anche bruciati, usa le chine, i led, assembla materiali in un’alternanza di pieni e di vuoti. E lo fa lavorando non solo sul davanti dell’opera ma anche sul retro (quando si tratta di supporti trasparenti) riuscendo ad immaginare mentre crea il punto di vista di chi poi guarderà l’opera. Con estremo rigore suddivide lo spazio pittorico in moduli, ordinando l’ispirazione in una griglia in modo da formare una composizione grafica geometrica che ingloba l’intero racconto. Questa costruzione appare come la necessità di connettersi alla lezione costruttivista di stampo mitteleuropeo, e specificamente svizzero, segnata dall’eredità dei Mondrian e dei Malevich e sviluppata da una intera generazione di artisti quali Max Bill o Richard Paul Lohse.
Gestualità informale per un risultato astratto in lavori per forza di cose estremamente materici. Tra le opere più emozionanti in mostra un racconto d’acqua e riflessi scandito da alternanze di estroflessioni e spigoli vivi, un’istallazione di conchiglie fluttuanti realizzate con nastri di plastica trasparente intrecciati, un enorme ed affascinante mandala. «Il suo segno grafico incide superfici sempre diverse, metacrilati come carta, in una sorta di scrittura dinamica, un nuovo alfabeto dell’anima, un flusso continuo di parole che vanno a comporre più che un discorso, una musica – sottolinea Cynthia Penna -. Come la musicalità della prosa di Proust, composta da un inarrestabile susseguirsi di immagini in movimento che sconfinano in onde sonore più che in parola scritta, così la musicalità del segno di Meyer invade lo spettatore e lo avvolge in un crescendo sensoriale di raveliana memoria». A completare il percorso espositivo un video che illustra le diverse tipologie di lavorazioni adottate dall’artista.
Il Mattino del 26 Novembre 2016