Il Mosaico del nuovo millennio

 

 

di Cynthia Penna

 

 

Erede del movimento californiano degli anni ’60 denominato “Light and Space”, Lisa Bartleson sperimenta la luce e lo spazio nelle sue opere composte da una sorta di nuova tecnica del mosaico come nessun altro si era fin’ora cimentato.

Un moderno mosaico fatto di centinaia di pezzetti di Mylar, una sostanza plastica che nasce negli USA sulla spinta delle ricerche sui nuovi materiali che proprio in quegli anni vide la luce per la prima volta nell’Ovest americano. La sperimentazione di nuovi materiali indusse molti artisti dell’epoca ad investigare le molteplici possibilità della materia non solo per spirito di mera innovazione, ma per fornire all’arte sempre più nuove tecniche e con esse, nuove soluzioni, e perseguire nuove finalità e nuove emozioni.

La Bartleson nasce come biologa e quindi con una mentalità scientifica, un approccio investigativo che la conduce a catalogare le sue ricerche e a catalogare la successione delle attività del fare con i principi matematici del calcolo. Una base scientifica che rimane però soffocante della propria emotività.

La liberazione avviene attraverso due vie apparentemente contrastanti tra loro, ma in realtà assolutamente convergenti e supportanti l’un l’altra: la sperimentazione del colore e la tecnica dell’accumulazione perseguita attraverso la ripetitività del gesto.

La soluzione artistica della cd. “accumulazione” è stata sperimentata in vario modo nel corso del ‘900: dalle opere di Fernandez Arman in Francia, ai “combine” di Rauschenberg negli USA dove il linguaggio della “quantità” assurge a momento artistico in una specie di aggregazione libera ma controllata degli oggetti. La tecnica dell’assemblage è ricorrente nel mondo artistico e copre aree estese e differenti tra loro: da Daniel Spoerri in Svizzera a Louise Nevelson negli Stati Uniti, a Cesar Baldaccini e Jean Tinguely in Francia.

La crisi ideologica imperversante in Europa come in America nell’era post bellica conduce alla ricerca di un nuovo mezzo espressivo che rompa con il passato e si stacchi anche dal bidimensionalismo pittorico introducendo da un lato l’uso di nuovi materiali, dall’altro lavorando con materiali di risulta, di scarto, intrisi di quotidianità e di “povertà”, di “realtà” nel senso di una realtà oggettuale e va a sfociare in tal modo  nella POP Art in America  e, in Europa, nell’arte Povera in Italia e nel Nouveau Realisme in Francia.

La gestualità diviene un altro dei principi cardine cui ispirare la produzione artistica: dalla gestualità selvaggia di Pollock a quella controllata di Max Cole, negli Stati Uniti essa diviene determinante nella scelta del fare arte.

La Bartleson nel suo fare arte si lega a tutto questo bagaglio di esperienza artistica e lo combina dentro di sé seguendo la sua propria spinta emotiva ad un certo punto preponderante su ogni scelta scientifica pura.

L’accumulazione diviene gesto, anzi ripetitività del gesto nella suddivisione del Mylar in centinaia di pezzetti che andranno a comporre il suo personale mosaico.

Ma non è tutto e non può essere tutto per la Bartleson che sente impellente il bisogno interiore di liberare la sua emotività: una emotività lieve, sottile, fatta di piccole cose o piccoli momenti : un panorama, un gesto, un tramonto, ma soprattutto il colore e la forza della luce.

Bartleson non può fare a meno della luce e del colore, delle infinite sfumature che la luce offre allo sguardo determinando milioni di sfumature di colore. L’espressività somma di questa donna e di quest’artista sta nella forza del colore potente e prepotentemente irrompente nella sua vita, nel suo sguardo, nella sua arte.

Tutto è colore e luce e il suo mosaico è inondato di luce. Il Mylar, un materiale nuovo, la nuova povertà dei materiali che si fa arte ripercorrendo la storia sotto nuove forme. Dal mosaico romano fatto di pezzetti di mattone, attraverso la tecnica dell’assemblage, fino al nuovo mosaico moderno che sembra venir fuori dai pixel dei computer ingigantiti e attaccati sul supporto. Ma mentre il mosaico romano assembla i pezzetti di mattone l’uno accanto all’altro a formare un disegno reale, qui i pezzetti di Mylar vengono sovrapposti attraverso una “accumulazione” reale e visiva a formare il disegno ideale che è riposto nella sua mente.

La sua creatività, la sua emotività liberata in tal modo dalla scientificità della tecnica, ritrova nell’assemblaggio del Mylar e nel colore la sua ragion d’essere.

La novità espressiva, derivante anche qui da una revisione critica del passato, esprime una crisi ideologica che viene superata attraverso l’infusione della luce e del colore di chiaro stampo Californiano.

Infine la superficie di questo nuovo mosaico e l’intera opera viene “affogata”, sommersa nella resina trasparente che la rende totalmente lucida e riflettente. Ancora una ulteriore sperimentazione, questa volta visiva, attraverso la quale lo spettatore percepisce non solo il senso di profondità interno alla struttura del quadro, dato dal colore in sé così come composto sulla superficie della tavola, ma riceve altresì una “rifrazione” della luce derivante dalla superficie totalmente lucida dell’opera. Quindi possiamo dire che le opere della Bartleson contengono e si offrono alla visione attraverso una luce “interna” derivante dalle sfumature di colore e dalla composizione in sé, ma anche attraverso  una luce “esterna” che è data dalla rifrazione della luce sulla superficie.

Un esperimento cinetico/visuale di stampo tipicamente californiano e legato alla tradizione del movimento “Light and Space”, ma che si connette incredibilmente e forse inconsapevolmente alla tradizione dell’arte musiva italiana. Una dimostrazione ulteriore della vastità di possibilità che l’arte offre al mondo dalle sue origini ad oggi.