UN VIAGGIO nell’IGNOTO

 

 

di Cynthia Penna

 

 

Premessa

La collaborazione tra artisti è uno di quei temi “caldi” e scomodi che gli artisti storicamente non hanno mai amato praticare.

La prima opera di tal fatta che ebbi l’opportunità di vedere molti anni fa era esposta al Getty Center di Brentwood a Los Angeles: un dipinto su cui Peter Paul Rubens e Jan Brueghel il vecchio avevano operato insieme dividendosi sia gli spazi che i soggetti pittorici, cercando di dialogare tra loro e accettando anche di influenzarsi reciprocamente eppur mantenendo la propria autonomia stilistica. Da quel momento nel fondo del mio pensiero iniziò a sedimentare l’idea di una collaborazione tra artisti.

Il progetto Traveling Canvas nasce proprio sulla falsariga di questi pensieri, ma si è posto fin da principio come molto tumultuoso, complesso e difficile.

La ricerca in tutti i campi è il motore del futuro e la mia personale ricerca e funzione in qualità di curatore si incentra sulla scoperta di nuove possibilità.

In arte è stato detto molto , tanto, forse troppo, ma l’Arte rimane sicuramente un mezzo, e neanche di seconda classe, di progresso dell’umanità. Ricerca e sperimentazione la contraddistinguono al pari della Scienza e quindi vale la pena perseguire nuove strade, tentare e approfondire anche situazioni e mezzi apparentemente irrealizzabili.

 Il Progetto

In questo progetto si mettono in relazione artisti che non si sono mai conosciuti e non hanno mai lavorato insieme; artisti appartenenti a strutture culturali e sociali totalmente diverse fra loro; artisti che vivono all’interno di schemi culturali e credo religiosi differenti; artisti appartenenti a diversi continenti, lontani sia fisicamente che ideologicamente. Il challenge del progetto e l’interrogativo dello stesso non si pone  solamente in termini estetici, ma anche in termini antropologici e psicologici. La sperimentazione è basata e finalizzata sulla capacità di interagire l’uno con l’altro, a distanza e con compenetrazione psicologica ed emotiva. Abbiamo scelto, come curatori, anche di operare su una differenza di genere perché questa è innegabile, istintiva, primaria e quanto mai “naturale” e basica dell’esistenza umana.

Messi insieme a lavorare, ma non fisicamente riuniti, bensì ognuno nella solitudine del proprio studio, nella propria città e nella propria nazione, ma su una tela dove “altri” colleghi hanno lavorato o dovranno in seguito lavorare: questa l’attività richiesta agli artisti.  Prefigurarsi il futuro intervento di altro artista sulla medesima tela e semmai sul proprio medesimo tratto pittorico , sul proprio gesto, sul proprio segno,  può essere destabilizzante per colui che è abituato a lavorare da solo e a spaziare sul campo pittorico in totale autonomia. Prevedere un accadimento futuro sulla tela ad opera di altro da sé e in tal modo auto-limitarsi nella realizzazione della composizione può essere un vero challenge.

Senz’altro una sfida , un rischio, una sperimentazione inedita di dove e fino a che punto spingersi o spingere il proprio ego a fare i conti con l’esistenza di altro da sé.

Abbiamo chiesto agli artisti di partire dalla propria memoria storica, individuale e collettiva e riversarla  sulla tela; la memoria di ciascuno è legata a tutto l’assetto culturale non solo del singolo individuo, ma dell’intero paese di provenienza.

La mediazione diviene sempre più complessa tra la propria memoria, i propri retaggi o anche semplicemente il proprio stile pittorico, e quello degli altri : una mediazione che tenga conto del rispetto dovuto alla realtà completa e complessa dell’altro artista.

Interagire con l’altro, connettersi con altro da sé, condividere uno spazio sia pur esiguo ma che attiene alla propria espressività individuale per un artista significa non solo mettersi in gioco, ma anche condividere uno spazio vitale, come persone che vivono nella medesima stanza. L’autolimitazione dell’Io consapevole e razionale si scontra con l’esternazione dell’Es cioè della sfera dell’inconscio : la sperimentazione aveva una finalità assolutamente imprevedibile ed esteticamente non prefigurabile.

Ma l’arte è proprio questo: ignoto, emozionale, a volte magico; l’arte è foriera del nuovo, del rivoluzionario, di “altro”.  Un esperimento come in laboratorio perché l’arte è il laboratorio delle idee.

 

Il senso politico del progetto

“L’arte è l’ultima forma di speranza” (Gerhard  Richter)

Il messaggio politico che il progetto vuole presentare è quello dell’integrazione nel rispetto delle diversità.

In un mondo solo apparentemente e solo commercialmente globalizzato, la struttura delle società si sta pian  piano disgregando a causa di diversi rapporti intra-familiari e di conseguenza, sociali.

Stiamo assistendo allo sgretolamento delle società tradizionali in forza di individualismi e separatismi di ogni sorta: religiosi, razziali e politici. Il sovraffollamento di alcune aree del globo ha portato, inevitabilmente, a forme di reattività che si estrinsecano sommamente in aggressività e rifiuto dell’altro tout court.

Il messaggio politico del progetto è assolutamente di segno opposto e presenta l’Arte come l’elemento disturbante di un andamento di deriva verso i separatismi e le intolleranze che stanno caratterizzando  le società contemporanee. L’arte è sempre stato mezzo di trasformazione sociale; a volte proprio per questo motivo è risultata o è stata percepita come  fonte di destabilizzazione;  fonte di timore per gli autoritarismi di ogni genere. Rifiutata e perseguitata dai regimi autoritari per la sua precipuità di mettere in discussione assolutismi e dictat dogmatici, l’arte è invece il campo delle opportunità, il campo del possibile, della sperimentazione, ove tutto può accadere e molto deve essere accettato.

Arte come integrazione di razze, generi, religioni, sistemi politici e culturali.

Le generazioni future, devono ricevere un legato, un lascito, e la sola cosa che è rimasta all’essere umano da tramandare è il senso di appartenenza e il senso della bellezza.

Non reggeranno società costruite soltanto su economie di consumo, su progresso tecnologico e su poteri economici. Il futuro del mondo? Nessuno può prevederlo, ma l’Arte avrà sempre il suo ruolo e farà sempre la sua parte come è stato per tutti i secoli passati. Questo è il momento di presentarla al mondo come una delle possibili soluzioni sia in termini specificamente estetici, come senso della Bellezza, sia in termini di struttura del procedimento logico/psicologico/sociale .

Il senso estetico del progetto

Gettiamo il sasso nello stagno e vediamo l’effetto che fa: guardiamo i cerchi di acqua provocati dal sasso e inseguiamoli e vediamo dove finiscono.

Questo è stato il senso di tutta l’operazione ; ma la domanda primaria era anche quella di figurare come sarebbe emerso il dato artistico in senso lato da e attraverso una autolimitazione di base. Autolimitazione spaziale e psicologica; sovrapposizione di realtà istintuali, un intreccio di personalità ben conclamate (gli artisti non sono giovani emergenti, ma ben strutturati anche nelle carriere) e soprattutto un campo spaziale limitato dove incidere in armonia con altre presenze esterne a sé.

Le 10 tele che ne sono risultate presentano caratteri estetici totalmente differenti tra loro e si può affermare che gli artisti partecipanti hanno spaziato sulla tela in maniera molto complessa: artisti che solitamente operano attraverso la figurazione, si sono espressi anche in chiave astratta; la determinazione o la ristrettezza del campo pittorico, sebbene abbia inciso sulla autodeterminazione e sulle scelte operative, è stata alla fine superata da interventi piuttosto liberi o, a volte, liberatori della propria personalità o del proprio inconscio.

Molte tele sono emerse da sofferenze non di poco momento: sofferenze della propria coscienza e della propria razionalità a fronte di una istintività che ha fatto i conti con la presenza di mani estranee e straniere.

Il dato che emerge da un punto di vista strettamente artistico è certamente quello che la classica dicotomia tra figurazione ed astrazione è stata totalmente abbattuta.

Non ha più alcun senso parlare e discettare sulla differenza tra opera astratta e opera figurativa perché tutte le 10 tele contengono elementi di entrambe le tecniche senza perdere né in equilibrio, né in bellezza. La sovrapposizione delle tecniche anziché creare un senso di caos e smarrimento, ha creato un senso di molteplicità, multidisciplinarietà, ed ha aperto la strada ad una liberazione della pittura contemporanea al di fuori di barriere, costrizioni e ingessature.

La compenetrazione tra figurazione ed astrazione è stata realizzata attraverso un senso estetico globale e diffuso che ha funzionato con equilibrio e rigore nonostante un’apparenza di poliedricità.

In realtà su alcune tele una base geometrica primaria ha funzionato come sezionamento del campo pittorico, mentre a contrario in altre è stata la figura a determinare questa suddivisione del campo.

Tutti gli artisti si sono posizionati e “incastrati” in questi spazi primari ed hanno continuato ad esprimere le loro cifre stilistiche alcuni addirittura muovendosi liberamente tra figurazione e astrazione, cosa assolutamente non perseguita nella loro usuale produzione artistica.

L’operazione si è rivelata quasi liberatoria da questo punto di vista in quanto la pregiudiziale della riconoscibilità della cifra stilistica , per quanto razionalmente mantenuta, in alcuni casi è stata sovvertita a fronte di una espressività molto più dinamica ed indipendente.

L’espressione artistica si è liberata dai canoni estetici di rigore, si è liberata dai dictat imposti dalla società dell’arte , dal mercato dell’arte, dalle imposizioni degli esperti e dei critici.

Gli artisti sono come “esplosi” pur nella consapevolezza della propria autolimitazione.

Ed anzi, in definitiva, è stata proprio la autolimitazione dettata dalla richiesta di dialogo obbligato e di interazione obbligata con gli altri, a far emergere quello che l’ES, l’inconscio non aveva mai espresso: quello che vi era di sotterraneo rispetto al razionale, al conscio, al consapevole; quello che la razionalità e le aspettative dei fruitori aveva soffocato in precedenza.

Pur rimanendo all’interno della propria singola cifra stilistica (peraltro ampiamente riconoscibile in ognuno di loro) , l’elemento della integrazione e del dialogo con gli altri, ha ottenuto e permesso e indotto soluzioni personali alternative, nuove, inedite che altrimenti gli artisti non avrebbero adottato.

Ne è nata un’arte libera all’interno di una supposta costrizione che si è rivelata infine liberatoria e prolifica.

Un modo nuovo di approcciarsi al mezzo, allo spazio, al contenuto; una creatività non soffocata da auto disciplina stilistica. Una creatività che si è liberata della prima per affrontare semmai una autodisciplina dettata dalla convivenza, dal dialogo, e da una forma di rispetto dell’altro. Gli artisti hanno sperimentato situazioni di sovrapposizione, cancellazione, autoaffermazione, espressione dell’Ego e compressione di esso; ma tutti hanno affermato che l’esperienza è stata intensa, profonda, ineludibile.

Certamente un modo nuovo e insolito di fare arte e cosa c’è di più esaltante nella vita che mettersi in gioco, imparare costantemente il nuovo, l’anomalo, il diverso, ciò che fuoriesce dagli schemi, accettandolo senza pregiudizi fino in fondo e fino alla fine?